È ora che Zelensky si dimetta? Riflessioni sulla guerra (parte I)

 

Це наша країна 

Bentornati sul mio blog, lettrici e lettori.

Dato che mi avete spinta a parlare di guerra e di politica, oggi e nel prossimo articolo ripercorreremo insieme gli eventi drammatici che hanno investito il Paese Gialloblù a partire dal 2013, fino ad arrivare ad oggi, cercando di ipotizzare una possibile soluzione del conflitto e di stilare un giudizio sulla classe governativa ucraina attuale.

Data la lunghezza degli eventi e la loro complicatezza non mi è possibile sintetizzare il tutto in un solo articolo, perciò, amici, abbiate pazienza. Aprire la mente e leggete. Cercherò di essere il più oggettiva possibile. 

Una ulteriore piccola premessa però mi è d'obbligo: cercate di capire che, per me, questi eventi sono fatti molto vicini al mio cuore, alla mia vita personale e alla mia famiglia acquisita, e anche che questi eventi hanno segnato praticamente la mia vita adulta. Per qualcun altro la guerra in Ucraina è solo un insieme di notizie che fanno da sottofondo alla loro vita quotidiana, ma per me è qualcosa di molto più intimo. Perciò siate rispettosi nei commenti. Buona lettura. 



GLI ANTEFATTI: EUROMAIDAN, DA YANUKOVICH A POROSHENKO, LO SCHEMA PERFETTO PER UNA GUERRA CIVILE A TAVOLINO. 

Prima di tutto è necessario ricordare come Zelensky sia arrivato al potere e, credetemi, questi anni li ho vissuti da vicino, dato che mi sono recata diverse volte in Ucraina proprio nel periodo fra le due guerre. Scavalcare i fatti e parlare di Zelensky senza ripercorrere ciò che è avvenuto prima non mi sembra sensato. E quindi iniziamo dai fatti del 2013.

Prima e durante le proteste di Maidan, al governo del Paese Gialloblù vi era un certo Viktor Yanukovich, un politico che aveva vinto le elezioni grazie ai voti dell'est del Paese, di animo più sovietico e filorusso e, soprattutto, economicamente intersecato con la Russia. 

Il suo governo era partito male. Il Paese era spezzettato fra i sostenitori di partiti più filo-europei e più nazionalisti, fortissimi a Ovest, e i sostenitori di Yanukovich e dei suoi alleati del vecchio Partito Comunista Ucraino, che, nel frattempo, si erano trasformati in oligarchi, politicamente forti nella parte est del Paese.  

Chiunque si intenda qualcosa di guerre civili coglie subito lo schema perfetto per scatenare una guerra civile: quando una società è fortemente polarizzata politicamente e le divisioni politiche corrispondono anche a precise divisioni territoriali, allora sono presenti tutti gli ingredienti per creare un esplosivo e accendere la miccia (il cosiddetto casus belli)

Durante le elezioni in cui vinse Yanukovich, i voti dei cittadini ucraini si erano già spostati molto più verso gli estremismi: a Ovest si era rafforzata l'estrema destra di Svoboda, a est l'estrema sinistra dei partiti filorussi. 

L'Ucraina pre-Maidan era dunque la polveriera perfetta per creare un macello di proporzioni bibliche e dubito fortemente che i servizi segreti americani, inglesi, russi ed europei non sapessero di ciò che stava per avvenire. Ritengo anzi che gli occidentali - e i russi ovviamente - abbiano calcato la mano di proposito, con un Ovest filoeuropeo e un Est filorusso, entrambi sponsorizzati dai propri gruppi di interesse. Mancava giusto la miccia da accendere. A soffiare sopra la dinamite infiammata c'erano da una parte la UE e dall'altra la Russia. 

Per la Russia, l'Ucraina è la Piccola Russia, una terra in cui la storia russa è nata. Per l'Europa, l'Ucraina è un opportunità per espandere la UE e allargare l'influenza occidentale a discapito del vecchio rivale russo, ultimo baluardo contro l'espansionismo dei capitalisti liberali. Ma anche uno Stato autoritario e oligarchico. 

Di mezzo le vite di quasi 40 milioni di persone, che sono diventate, loro malgrado, le vittime sacrificali di questi immondi sciacalli. 

Il governo di Yanukovich, quindi, nasce sotto una stella tutt'altro che fortunata, ma poco prima della rivolta di Maidan le cose precipitano: il presidente Yanukovich compie una virata di 180° su un argomento che rappresenta la miccia perfetta per accendere la dinamite. Proprio quando egli avrebbe dovuto firmare un trattato di cooperazione economica con l'Europa, il presidente dà due di picche alla UE e vola a Mosca a sentire le opinioni di Vladimir Putin. Dopo l'incontro con Vlady, Viktor torna a Kiev con un pacco di soldi russi e addirittura sigla un trattato di cooperazione economica con la Russia e con i Paesi dell'area CIS (Comunità Stati Indipendenti).

Fa proprio ciò che la UE temeva quando, all'indomani della sua vittoria, parlò di un allontanamento dalla democrazia e un ritorno indietro ai regimi autoritari. 

Gli ucraini, soprattutto quelli giovani che guardano alla UE, a quel punto si sentono traditi dal presidente filorusso e rigettati indietro in una specie di neo-URSS, nella quale, però, non comandano più i comunisti, bensì gli oligarchi russi e ucraini filorussi, in una struttura statale spesso descritta come "cleptocratica". 

Infatti il passaggio dal comunismo all'economia di mercato in ex URSS avvenne in maniera tutt'altro che onesta e trasparente. Le aziende statali sovietiche furono privatizzate e rivendute a chi, già ai tempi dell'URSS, dirigeva tali strutture, senza però esserne ancora proprietario formale. Attraverso le privatizzazioni, gli ex dirigenti comunisti sono riusciti ad acquisire la proprietà delle ex strutture statali, dal gas alle miniere alle banche ai trasporti alla TV, in maniera tutt'altro che limpida, concorrenziale e onesta. Ecco perché si parla di governo dei ladri, galantemente detto "cleptocrazia". 

Mentre la popolazione sovietica negli anni '90 veniva gettata in pasto all'economia di mercato senza risparmi o ammortizzatori sociali e lasciata fondamentalmente a morire di fame e arrangiarsi, pochissime persone si sono arricchite smisuratamente, trasformandosi negli attuali oligarchi. E, chi viveva vicino alle frontiere con la UE, percepiva che a ovest si stava meglio, c'erano più soldi e più diritti. 

La UE, poi, agli occhi degli ucraini filo-europei offrirebbe dei meccanismi più funzionali per arginare l'immenso strapotere degli oligarchi: ad esempio, la UE obbliga gli Stati membri a separare i vari poteri statali e ha costretto anche l'Ucraina ad aprire ben due organismi indipendenti di monitoraggio e controllo della corruzione, il NABU e il SAPO. Niente controllo, niente soldi. Niente riforme per il popolo, niente soldi. 

Dall'altra parte, in Russia Vladimir Putin costruisce il suo successo politico intorno alla mitologia dell'uomo forte che accentra i poteri e rimette in riga gli oligarchi, sconfiggendo la corruzione nel Paese attraverso un modo di governare illiberale e antidemocratico. Di nuovo, due modelli di governo, di valori e di stili di vita che tornano a scontrarsi. 

Putin è chiaro: non è disposto a rinunciare a nessun Paese russofono. E dall'Ucraina non se ne andrà, dovesse anche raderla al suolo. 

Ma torniamo al momento in cui Yanukovich perde il controllo sul proprio Paese. 

Siamo a Novembre 2013. Io mi sono da poco fidanzata con un uomo ucraino e della loro politica conosco ben poco (come la stragrande maggioranza degli italiani che parla a vanvera). Nel suo Paese scoppiano delle proteste immense per chiedere le dimissioni del traditore Yanukovich e il ritorno alle urne per nuove elezioni. Il presidente scompare dai radar, ma, durante alcune proteste a Kiev, un giorno sentiamo in TV che il governo di Yanukovich ha aperto il fuoco sulla folla di ragazzi intenti a protestare, uccidendo circa 80 persone e ferendone molte altre.  Da notare: i manifestanti mostravano pe bandiere dell'Unione Europea. 

A quel punto avvengono due cose: Yanukovich scompare e fugge in Russia e il parlamento ucraino lo sfiducia. Il Paese, già martoriato da anni di tumulti politici e crisi economiche,  torna al voto. 

Vince Poroshenko. Il filorusso Travaglio, in uno sketch di pochi giorni fa, ci ricorda che Petro Poroshenko non è certo un poveraccio, bensì è anche lui un oligarca, l'oligarca del cioccolato. Produce cioccolatini di marca Roshen ed è il Ferrero d'Ucraina.

Poroshenko, a differenza di altri, è un ucraino etnico, sebbene abbia una fabbrica anche in Russia e faccia affari con i russi. Rappresenta la fazione più nazionalista e filo-europea dello scacchiere politico ucraino e gode di un forte sostegno da parte degli ucraini delle regioni occidentali e degli ucraini emigrati all'estero. In altre parole, il Paese sembrerebbe aver cacciato un filorusso e aver poi messo sul trono un filo-europeo, per la gloria della democrazia. 

Poroshenko sale quindi al governo, ma la Russia non prende bene la cacciata del suo pupillo. Decide di ricorrere anche lei ad un giochetto sporco e, poco tempo dopo, "invade" il Donbass, ufficialmente per soccorrere i cittadini delle regioni orientali che hanno sentimenti politici antieuropei e filorussi, i quali hanno deciso di reagire alla cacciata dei filorussi dal governo organizzandosi in milizie per secernere dall'Ucraina. La Russia ufficialmente non invade, ma soccorre e arma queste milizie che chiama "popolo fratello". 

LA "GUERRA CIVILE".

Pertanto, inizialmente Putin spaccia l'occupazione del Donbass e il sostegno alle milizie separatiste di Donetsk, Lugansk e della Crimea come un intervento a favore di tre regioni ucraine che non accettano il nuovo corso politico deciso a Kiev (o a Washington, Londra e Bruxelles) e che vogliono restare con la Russia.

Bella retorica gloriosa. Tuttavia, in nessuna democrazia una o più regioni di un Paese possono staccarsi solo perché non sono d'accordo col risultato di un'elezione. Se ne rende conto anche Putin, il quale cerca di far apparire la secessione del Donbass e della Crimea più accettabili agli occhi del mondo,  indicendo dei referendum nei territori occupati.

Gli osservatori internazionali (occidentali e accoliti) non riconoscono l'esito del referendum, essendo stato svolto in un territorio sotto occupazione militare straniera e con modalità non trasparenti, per cui Putin resta isolato dalla comunità internazionale e riceve i primi pacchetti di sanzioni. 

A quel punto si scatena una guerra fra governo di Kiev, che tenta di recuperare i suoi ex territori, e le milizie separatiste filorusse, armate e rimpolpate con gli omini verdi dei russi, che ben presto non ha più nemmeno i connotati di una guerra civile, palesandosi presto come una guerra fra Ucraina e Russia. 

DECENNIO DI GUERRA E SALITA AL POTERE DI ZELENSKY

Ai fatti suddetti segue un decennio di guerriglia o guerra a medio-bassa intensità in cui muoiono circa 12.000 persone nel Donbass. Le altre regioni dell'Ucraina, però, risentono poco della guerra a est, tanto che la legge marziale non viene indetta e la guerra viene combattuta soprattutto con volontari e milizie di Kiev, come, ad esempio, gli Azov. La guerra, però, esacerba le precedenti divisioni politiche, con l'Ucraina che restringe l'uso della lingua russa nei documenti e che inizia a parlare di entrare nella Nato e nella UE. Mosca vede rosso. 

La Russia si può dire che inizialmente ha la meglio: l'Ucraina è praticamente demilitarizzata, e la Russia occupa, attraverso i separatisti, le tre regioni di Crimea, Donetsk e Lugansk senza grosse difficoltà. 

Nel frattempo si cercano accordi con la Russia, si parla di un Accordo di Minsk I, poi Minsk II, entrambi per arrivare ad un cessate il fuoco, che, sfortunatamente, si rivela solo temporaneo. 

Gli ucraini, nel frattempo, si stancano sia di Poroshenko che della guerra. Eleggono un altro politico emergente, un giovane attore ebreo che si era fatto pubblicità interpretando, in un serial televisivo chiamato "Servitore del Popolo", la parte di un insegnate che diventa poi presidente dell'Ucraina e salva il popolo oppresso da oligarchi e corruzione. 

La vittoria di Zelensky fu resa possibile da almeno tre fattori:

- la popolarità della sit-com, che fece un'enorme campagna mediatica al comico; 

- l'appoggio di un influente oligarca ebreo-ucraino, che finanziò la sit-com e la campagna di Zelensky;

- la promessa di Volodymir Zelensky di porre fine al conflitto con la Russia, attraverso una soluzione negoziata che avrebbe garantito i diritti linguistici ai russofoni dell'est, ma anche protetto l'integrità territoriale ucraina;

- un ultimo elemento arrivò da Poroshenko stesso, che, nel frattempo, era stato travolto da scandali di corruzione e affari con i russi. Il popolo ucraino aveva iniziato ad identificare Poroshenko come "uno dei soliti oligarchi corrotti" e lo aveva bidonato.  Sebbene Poroshenko avesse conquistato lo stesso la maggioranza dei voti degli ucraini all'estero, gli ucraini rimasti in patria erano passati a Zelensky. 

Un risultato che noi dall'estero non ci aspettavamo affatto. Abbiamo compreso subito che in Ucraina stava avvenendo qualcosa, una campagna d'informazione diversa da quella che sentivamo noi a Ovest. Una campagna volta a demonizzare Poroshenko (che fu fatto sanzionare da Zelensky anni dopo) e promuovere al suo posto Zelensky. Ma chi c'era dietro questa campagna? Oggi ritengo che ci fossero europei e Stati Uniti. E qui io inizio ad avere grossi dubbi sull'onestà dei media occidentali e su manipolazioni varie effettuate da Stati Uniti e Gran Bretagna. 

Zelensky, infatti, in un primo momento sembrava intenzionato a firmare un accordo con Putin per porre fine alla disputa territoriale in corso e ripristinare la pace. Era stato votato per questo, dopotutto. In quel preciso momento, però, come raccontano anche i filorussi, diverse personalità politiche occidentali, fra le quali Boris Johnson, primo ministro inglese all'epoca dei fatti, si fiondano a Kiev e convincono Zelensky a non firmare l'accordo con Putin, ma anzi ad armarsi. Lo avvisano che Putin sta radunando truppe al confine occidentale e intende scagliare una guerra di grosse proporzioni contro l'Ucraina, ma - avvisano gli inglesi - il Regno Unito sosterrà l'Ucraina nella sua difesa e anche nella riconquista militare dei territori occupati illegalmente dai russi. 



2022: INIZIO DELL'INVASIONE

In quel periodo ero da poco tornata dall'Ucraina, dove avevo trascorso un mese intero vivendo fra ucraini. La mia percezione delle cose mi diceva che qualcosa nell'aria era cambiato rispetto ai tempi di Poroshenko: dopo aver trascorso le prime due settimane come una turista, sul finire della vacanza iniziavo a percepire un'aria molto pesante e "metallica" intorno a me. I volti delle persone per strada non mi sembravano affatto sereni e diversi amici ucraini mi suggerivano di non restare in Ucraina. Diverse persone parlavano di una grande guerra imminente che sarebbe scoppiata in primavera. 

Un po' diffidente, presi la notizia come una brutta sorpresa, ma risposi:<<I russi non supereranno mai il Dnepr. E poi, perché dovrebbero prendere tutta l'Ucraina? >> 

Ma, da allora, i volti delle persone intorno a me mi sono iniziati a sembrare ancora più tesi e ho iniziato a percepire un'aria di morte sulla città. 

Quando tornai in Italia, avvertii un vuoto nel petto (non sarei voluta tornare). Mi sembrava di essere tornata in una realtà fittizia e comunque diversamente pesante e oppressa, ma inconsapevole di essere oppressa, smarrita in una retorica di finto benessere. Sarei voluta restare con i miei amici in Ucraina e resistere insieme a loro, contro qualsiasi logica razionale. Tuttavia avevo forti dubbi su quale lato appoggiare, perché, lo ammetto, non sono una grande fan della UE e non reputo i nostri politici dei teneri agnellini che non seguono gli interessi di gruppi di potere a discapito del popolo, tutt'altro. 

E poi c'è la questione culturale. Gli ucraini, dal mio punto di vista, sono un popolo russo, nel senso che anche loro traggono origine dallo stesso ceppo etnico dei russi e vedo negativamente l'occidentalizzazione del Paese con i suoi finti valori di plastica. 

Da lì a tre mesi scoppiò la guerra. 

Il 24 Febbraio 2022 i miei dubbi furono confutati quando accesi la televisione e vidi l'inizio dell' "Operazione Militare Speciale" a Kiev, a Chernobyl e nel sud del Paese. L'immagine dei russi che bombardavano Kiev, così vicino al monastero ortodosso della Pecherska Lavra, le immagini dei civili trucidati a Bucha, le notizie di stupri e torture e le chiamate disperate di amici che ci chiedevano consigli o appoggi per evacuare fidanzate, parenti, amici o vicini di casa mi travolsero come una marea in piena. Sorge la domanda: è questo il Russkij Mir, la grande civiltà russa?

E, allo stesso tempo, la civiltà occidentale mi mette la nausea. Mai me ne sarei voluta andare dall'Ucraina e da quel Russkij Mir che mi attrae inesorabilmente. Ricordo le sere che io e il mio amore slavo siamo stati abbracciati a guardare "Guerra e Pace", a parlare del futuro dell'Ucraina, dell'Unione Sovietica, dei paesaggi siberiani, dei Carpazi, e mi viene il magone. Non riesco più a rapportarmi con gli occidentali, persino gli italiani mi sembrano stranieri. E, allo stesso tempo, proprio il popolo "fratello" è il più grande ostacolo al mio ritorno in Ucraina. 

[A causa dell'eccessiva lunghezza dei fatti e delle riflessioni che essi implicano, continuerò l'articolo nel prossimo post. Continuate a seguirmi]. 




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